Forum Vasco Rossi[Non Stop Live, Scaletta,Accordi,Testi, Concerti,Collezionismo,Cambia-menti,Se ti potessi dire]

Quarant'anni di radio libere. Tutta colpa di Vasco Rossi: "Eravamo solo noi", Repubblica.it

« Older   Newer »
  Share  
view post Posted on 22/2/2015, 17:40

..e la mia vita non la rischio più per nessuno e per niente!

Group:
Amministratore globale
Posts:
12,396

Status:




Zocca, 1972. Un gruppo di amici, un giradischi, delle casse enormi costruite in casa: "Avevamo vent'anni. Dall'Appennino ci sentivano fino in San Marco, a Venezia, perché mandavamo in onda soltanto bella musica". Il signor Rossi racconta come nacque Punto Radio. E come diventò una rockstar

Fu un successone. Ma un successone. Da Modena, da Bologna, fin da piazza San Marco, a Venezia, un mucchio così di gente che ci voleva conoscere, parlarci, tanto che all'inizio abbiamo dovuto dare il numero di telefono di casa mia, e a rispondere c'era mia mamma. Tutto all'oscuro di mio padre, naturalmente, che però siccome faceva il camionista era quasi sempre via. Invece in paese, a Zocca, che è dove sono nato io e tutti gli altri, vedevano sì il gran movimento, ma non riuscivano a capirlo esattamente. Ci chiedevano: "Ma che cos'è che state facendo?". E noi: "Stiamo facendo una radio". E loro: "Come una radio?" - perché molti pensavano che stessimo costruendo un apparecchio, e gli sembrava strano: "Tutta 'sta gente qua per far su una radio?". E noi: "Ma no, una radio per far ascoltare quello che diciamo nella radio". E allora loro ci dicevano "Ma va a cagare!". Ci prendevano per matti, non capivano come potessimo trasmettere, noi, dentro una radio. Non ce n'era mica in quel momento là. Solo una, ma su a Milano, e poi la Rai.

Dopo, sei mesi dopo, hanno cominciato a venir fuori le altre. Red Ronnie si può anche attaccare, dai retta a me, ha iniziato un anno dopo, lui, con una radio piccola che si era messa sulle nostre stesse frequenze. Un giorno prendo su e scrivo la mia autobiografia e le dirò tutte queste cose. Adesso, intanto, però, fatemi raccontare come nacque la nostra di radio, quarant'anni fa, e perché fu grazie a lei se poi nacquero tutte le altre. Dunque, allora, la frequenza: eravamo sui 103.7, o sui 103.8, ma forse mi ricordo male. No, no, eccola: sui 104. Infatti: volevamo essere sicuri di essere verso la fine della banda.

Ma cominciamo dal principio. A Zocca quell'anno lì era l'estate del '72 e noi avevamo bisogno di far qualcosa per divertirci che non c'era mai niente da fare. Mettiamo su una discoteca. Avevamo un giradischi solo, quello di Marco Gherardi, detto Gherardo. Le casse le aveva costruite lui insieme a Lucio, che poi è Lucio Serra, il genio del paese, uno che se non ci fosse stato lui non sarebbe partito proprio un bel nulla. Le casse erano enormi e secondo noi si sentivano molto bene. C'era uno che metteva su i dischi, l'altro che li tirava via e io che parlavo al microfono. Avevamo una sincronia della madonna: tac, tac, tac. Eravamo il mixer. Io ero anche quello con la chitarra, passavamo dei gran pomeriggi a suon di Battisti, ma quando invece facevo sentire le mie di canzoni non è che gli amici erano troppo contenti. Dicevano "scappa scappa che arriva Vasco". Lo sapevo anch'io che le mie canzoni in confronto a quelle di Guccini, o di De André, il mio mito, facevano veramente pena. La prima appena un po' carina era una che diceva "Era vestita di bianco lo stesso", parlava di una ragazza che si doveva sposare e che per sposarsi si era vestita di bianco anche se in paese lo sapevano tutti che ne aveva combinate di ogni. Era una cosa così, era una cosa ingenua e tale resterà.

Ma già, la discoteca. Quell'estate lì prendemmo in affitto la pista di pattinaggio, che poi al mattino ci toccava smontare tutto, anche il bar che avevamo costruito con dei tronchi di pino. La chiamammo "Il Punto Club". D'estate a Zocca c'era la villeggiatura: la gente aveva le seconde case e veniva su da Bologna a prendere un po' d'aria, per cui si formò tutta una compagnia intorno a questa discoteca. I conti però non tornavano mai, bevevamo quasi tutto noi. Un bel giorno Gherardo, che era partito a militare a Milano, torna e mi fa: "A Milano c'è una radio che trasmette in Fm pirata". E io: "Ma come fa?". Perché noi un po' di queste cose qua le sapevamo già per via del baracchino, roba da radioamatori che ci eravamo costruiti con Lucio all'università. E lui: "Ha messo su un trasmettitore". Ho pensato: questa è un'idea geniale. Non esisteva niente che trasmettesse la musica che piaceva a noi, i Genesis, i Pink Floyd, Bruce Springsteen, Lou Reed. Sì, Lucio aveva costruito un impiantino che trasmetteva da casa sua in cortile, dove venivano gli amici e le ragazze per ascoltare i nostri dischi. Ma fare una radio: che sogno è? Quel giorno ho visto passare il treno da Zocca, ché di ferrovia lì non ce n'era, e ho detto: ragazzi, questo treno noi lo dobbiamo prendere per forza.

Andiamo su a Milano, che io ancora non c'ero mai stato, e dal tipo di Radio Milano International ci facciamo vendere un trasmettitore da dieci watt che non è che andasse molto bene, ma noi ce lo siamo fatto andar bene ugualmente. Poi affittiamo una casa a Montombraro, accanto a Zocca, perché sta sulla cresta, a 750 metri d'altezza, e dì li vedi tutta la pianura. Lo disse Lucio: "Qui va bene perché con gli Fm copri tutta la pianura". Chiediamo a quelli della discoteca se ci stanno a fare la radio. Siamo una decina. Soci fondatori. Per iniziare però bisogna fare una società, chiedere un prestito in banca e designare un amministratore. E a quel punto tutto il progetto già si arena: chi se la prende la responsabilità? Dico: "Io, lo faccio io!", tanto non avevo mica niente da perdere ma sapevo che si apriva un mondo e che ci stava aspettando. In banca ci danno un fido di sette milioni di lire, ed erano dei gran soldi (probabilmente ce li diedero solo perché c'erano dentro Marco Gherardi e Marco Manzini, figli di famiglie in vista in paese). Montiamo delle antenne stratosferiche fatte costruire secondo le regole di Lucio. E cominciamo a far le prove. Puntoradio, la chiamiamo così. Io parto in macchina per andare a vedere giù dalla collina come si sente: due curve e non sento più niente; poi però vado avanti e zac! Qui invece si sente; poi di nuovo niente. In pratica scopriamo che l'Fm arriva solo dove vedi. Così, per dire: in certe zone di Bologna non arrivava perché c'era la collinetta di San Luca, ma in compenso si sentiva fino a Venezia. L'aveva detto Lucio. Da quell'altezza coprivamo tutta la pianura: fino a piazza San Marco c'eravamo solo noi, e Radio Milano International.

Era il '75, cominciamo a trasmettere il 21 settembre e salta fuori subito il primo problema: il microfono. Nessuno voleva parlarci dentro. Poi alla fine a Zocca le cose funzionano sempre così: io ero quello che suonava la chitarra, io ero quello che d'estate faceva il dj e quindi dovevo essere io anche quello che parlava al microfono. Ma potevo mica parlare solo io, anche perché trasmettevamo 24 ore su 24: di notte nastri preregistrati e al mattino i turni per aprire alle otto (a proposito: la nostra prima sigla è stata Jessica degli Allman Brothers Band, prova un po' a metterlo su). All'inizio ci alternavamo in tre, o quattro, imparò anche Manola, la Righetti, unica donna, si vergognava per via della timidezza. Io facevo i palinsesti, ero il direttore e l'amministratore, pensa un po' te, quello che doveva tenere i conti a posto che dopo cinque anni di Ragioneria non sapevo neanche cosa volesse dire tenere i conti a posto. Poi c'era Marietto che gli piaceva la musica pop, nel senso di pop-rock, ma anche a Manzini piaceva. Musica leggera mai. Di italiano solo i cantautori. Praticamente mettevamo su solo la musica che ascoltavamo noi. Bella, bella musica. Non c'era confronto con le altre radio che poi sarebbero arrivate, eravamo avanti anni luce noi. Una cosa inimmaginabile per quei tempi là, che tu eri abituato alla Rai, che al massimo ti metteva su Dalla, una volta a settimana per carità, oppure un'ora di Per voi giovani, poi finita, il resto solo canzonette che per l'amor di dio ma a noi non ci piacevano mica. E mica solo a noi. E infatti. Quando nacque la radio andarono tutti nei matti.

A quei tempi non si chiamavano ancora radio "libere", eravamo radio "pirata". Tanto pirata che dopo un anno, estate del '76, i carabinieri di Zocca vengono su, mettono i sigilli e, in quanto amministratore, mi denunciano all'Escopost. Finisce tutto al pretore di Vignola, che per fortuna era una persona illuminata e dopo due settimane dissequestra tutto. Poi arriva da Genova l'avvocato Porta, che si era già occupato di queste cose qua, e mi dice: guardi signor Vasco, la difendo io, e la difendo gratis perché voglio portare avanti una battaglia di libertà. Sosteneva che il monopolio Rai non era costituzionale. Perfetto dico io, perché altrimenti non avrei saputo neanche da che parte voltarmi. Fu la mia prima volta in tribunale (poi dopo ce ne sono state anche delle altre) e alla fine vengo assolto con formula piena: il monopolio della Rai era anticostituzionale. Quella sentenza ha reso "libere" tutte le radio d'Italia.

Dopo il processo e col tempo diventavamo sempre più bravi, più professionali. Per dirne una, dentro la radio niente canne, che a Zocca ci guardavano già come dei matti. Ci inventavamo continuamente cose nuove. Una notte col Marietto volevamo trovare il modo di fare come quelli di Radio Montecarlo che finivano di parlare proprio quando partiva il disco. E lo trovammo: loro avevano dei mixer da paura, noi mettevamo il disco sul piatto, ascoltavamo dove cominciava, gli facevamo fare un giro indietro e quando l'etichetta era tornata al punto giusto finivamo di parlare e il pezzo cominciava. Venivano su dalle altre radio per vedere il trucco. Facevamo interviste: la prima a Guccini, in via Paolo Fabbri al 43. La pubblicità - che per noi allora era il male, e per me lo è anche oggi - la prendevamo perché dovevamo, ma massimo tre annunci all'ora e i testi li ideavamo e li interpretavamo noi. Per dire: a quelli della Coca Cola dicemmo no ché lo spot se lo volevano far loro. Ci davamo anche uno stipendio: cinquantamila al mese, che vivendo tutti a casa dei genitori ci andava anche bene. Poi a un certo punto siccome tre di noi facevano delle canzoni, cominciammo a chiamarci Puntautori e decidemmo di usare la radio per trasmettere le nostre canzoni. Quando ho fatto il primo 45 giri, quello con Jenny è pazza e con Silvia, ne vendetti più di ventimila copie. Ma a me andare su un palco a cantare e prendere degli schiaffi non è che proprio ci tenessi, e poi mi piaceva troppo fare il dj: ormai diventavo famoso e mi chiamavano anche nelle discoteche per mettere su robaccia, ma ero pieno di soldi, pieno di figa e giravo per Modena con un cappello in testa che sembravo Clint Eastwood.

Anche su a Zocca, d'estate, continuavamo ad avere sempre la nostra discoteca, solo che a quel punto arrivavano duemila persone a sera, perché la radio tirava, e tirava da matti. E allora facevamo venir su "le attrazioni", è così che si chiamavano. Una volta a settimana ci doveva essere un cantante famoso. Io andavo a prenderle a Bologna, da Ballandi, e prendevo quelle che ci potevamo permettere. Sandro Giacobbe, che aveva appena scritto il suo capolavoro, Signora mia, per esempio (lui lo mettemmo a dormire a casa della mia ragazza che dopo quella notte lì non fu più la mia ragazza, anche se lei mi disse che non c'era stato niente ma io non le ho mai creduto), o Dino Sarti. Una volta scritturai un giovanissimo Renato Zero, che a me piaceva un casino perché faceva canzoni diverse da tutti: "dai su sbattiamoci", cose così.

Insomma ci divertivamo, e ci divertivamo da matti. Fu così che a un certo punto ci siamo accorti che eravamo nei debiti. E che debiti. Settanta milioni, roba che se mio padre l'avesse saputo mi avrebbe fatto fuori. E allora chiamo un amico di Zocca, Gianni Monduzzi, che nel frattempo era diventato ricco, oddio ricco, abbastanza, secondo noi, aveva due case editrici qui a Bologna. Veniva su a Zocca con dei macchinoni e chiedeva a me, "ma secondo te che macchina è meglio portar su per cuccare di più, prendo la Porsche o quell'altra", e io gli dicevo prendi la Porsche, nel senso che, voglio, dire, se c'hai la Porsche prendi la Porsche - a me non me ne fregava mica niente, bastava avere i ribaltabili. Lo chiamo e gli dico: Gianni vieni su ché noi siamo messi male. E allora lui accettò di comprare il 30 per cento per sedici milioni. Poi trovò una cordata di industriali bolognesi che ci avrebbero dato 100 milioni all'anno di pubblicità se noi avessimo accettato qualche compromesso, tipo spingere velatamente il nostro pubblico a votare a destra. Noi eravamo degli idealisti, eravamo duri e puri, e non se ne fece niente. A quel punto lì non ci rimaneva che chiedere aiuto al Partito comunista, a Modena: prima ci promisero che l'avrebbero comprata ripagando tutti i debiti e lasciandocela in gestione, poi ci convocarono a Bologna a una riunione del Comitaten Centralen del Politburo o come si chiamava lui e lì ci comunicarono che invece no, l'avrebbero gestita loro, che doveva diventare la radio del partito. Io ci rimasi di merda. Il Pci non era mai stato il mio partito, semmai votavo socialista ché mio padre era socialista, e comunque ero più anarchico, indiano metropolitano. Però mi aspettavo che avrebbero capito il mio discorso, che noi volevamo fare una radio senza etichette perché solo così potevamo parlare a tutti, mia nonna compresa. Diventando una radio di partito, gli dissi, sarà solo un megafono per gli iscritti e non varrà più una sega. E così fu.

Su una vecchia fanzine Manola ha scritto di quel periodo lì: "Eravamo giovani, spensierati, senza malizia. Un bellissimo gioco che è durato quello che doveva. Personalmente non ho rimpianti, solo bellissimi ricordi". È vero. Nessuna furbizia, nessuna malizia, e tutti quei ragazzi che erano lì a far la radio pensavano di fare un gioco, per un anno o per due e poi... Manola la segretaria a scuola, Ferlito l'ingegnere. Io ero quello che non aveva nessun lavoro a cui pensare, se non il camionista, come mio padre. Mi spiace che non abbia potuto mai vedere niente di tutto quello che ho fatto dopo, è morto prima. Però so che una volta tornando a casa disse a mia mamma "Oh, oggi ho sentito Vasco alla radio, ma sì che son sicuro, han detto proprio così: Vasco Rossi". Deve aver pensato che in qualche modo me la sarei cavata. Che è poi la stessa cosa che penso anch'io dei miei figli oggi: non so bene che cazzo fanno, ma so che se la caveranno.

Fonte:
Repubblica.it del 22/02/2015
 
Web  Top
0 replies since 22/2/2015, 17:40   52 views
  Share