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«Sono stato assente, ma ora non vi libererete più di me!», Intervista completa

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view post Posted on 21/5/2014, 19:56

..e la mia vita non la rischio più per nessuno e per niente!

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Vasco Rossi, l’intervista integrale: «Sono stato assente, ma ora non vi libererete più di me!»

Il nome sul campanello è inequivocabile e ci dà pure un piccolo brivido: «Bollicine». È in questi uffici alla periferia di Bologna che nascono gli album di Vasco Rossi ed è qui che lo incontriamo, in una pausa della preparazione del disco in uscita a novembre. Sembra quasi un ufficio come tanti altri, se non fosse che dietro la scrivania c’è la più grande rockstar italiana. Vasco è in forma smagliante, ride, spara una battuta dietro l’altra. E non vede l’ora di tornare sul palco per sette concerti: tre all’Olimpico, quattro a San Siro.

Come mai sette date anche quest’anno?

«È andata così bene l’anno scorso che è diventato il mio numero preferito. Finalmente abbiamo la possibilità di avere San Siro, visto che l’anno scorso era già stato occupato. E tre concerti di fila all’Olimpico a Roma, non li ha mai fatti nessuno prima di me».

Insomma, il Live Kom sta diventando annuale?
«Non vi libererete più di me: ogni anno come ci sono il Natale e il Capodanno, ci sarà il Live Kom. Ora che sono tornato, non me ne vado più».

Ci saranno delle differenze nella scaletta?
«La scaletta non sarà come quella dell’anno scorso. Avrei potuto rifarla uguale, sarebbe stato divertente, perché alla gente piaceva moltissimo. Ci saranno delle sorprese straordinarie».

Per esempio?
«Se te lo dico non sarà più una sorpresa!».

Come ti è uscito un brano cupo come «Dannate nuvole»?
«Anche le cose tristi, come la malinconia e la tristezza diventano un piacere, quando sono sublimate dalla musica. I greci chiamavano gli uomini “mortali”, anche se in questa cultura moderna ce lo siamo dimenticati. È proprio così: “panta rei”, tutto passa, tutto finisce. Ma nonostante tutto, noi andiamo avanti. Penso che sia l’elemento più eroico dell’uomo, dobbiamo essere orgogliosi di essere così fragili. Dobbiamo tornare a pensare che la sofferenza va sopportata senza romper tanto le scatole».

Nella canzone ti chiedi «Chissà perché». Ti sei dato una risposta?
«La risposta la do con la chitarra. Arriva e “braam, brambram bram braaaam”. Mi ricorda gli Who, è la mia voglia di rock Anni 70».

Qual è il momento più emozionante del concerto?
«Prima, durante… e dopo! Quando devo salire sul palco la sensazione è fantastica. È sempre come la prima volta, la paura è che ci sia qualcosa che non va bene».

Non avrai mica paura del palcoscenico?
«No, quella ce l’ho mesi prima. Ce l’ho adesso. Faccio degli incubi in cui, per esempio, dimentico le parole delle canzoni. E poi quando vado in tour divento un altro. Durante la giornata del concerto non devo vedere nessuno, perché sennò mi distraggo».

Nemmeno i musicisti?
«Li vedo solo prima di salire sul palco, un quarto d’ora prima dell’inizio».

Le prove di questo tour, invece, quando inizieranno?
«Alla fine di maggio. Ci saranno venti sessioni di prove. Ci sono anche due musicisti diversi, chitarrista e batterista, per rendere più compatta la ritmica. Abbiamo voluto dare un peso maggiore alla potenza, sarà uno spettacolo ancora più rock».

E ci saranno altre canzoni nuove oltre ai due singoli?
«No, perché le canzoni nuove non esistono ancora. Pensa che ora sto preparando i concerti, scrivo l’album e vado pure in televisione, tutto insieme. Adesso ho letto sui giornali che racconto tutta la mia vita su Sky Arte! Quest’anno sono davvero multitasking».

Ti piace l’idea di un documentario in cinque parti su Vasco? (Vedi dettagli in fondo all’intervista)
«Sono onorato che Sky Arte abbia pensato di fare una cosa su di me. È un canale che mi piace, mi incantano i loro monografici sui pittori. Una cosa che mi è piaciuta molto è un programma chiamato “From the basement”, con i musicisti ripresi nello studio di registrazione. In un episodio c’era questo tizio con la faccia da pazzo seduto al pianoforte che suonava una canzone pazzesca con una piccoletta mora alla batteria, poi ho scoperto che erano gli White Stripes».

E la puntata di «Unici» che andrà in onda su Raidue l’8 maggio?
«Giorgio Verdelli è venuto a Los Angeles. Mi piace molto il titolo: “Essere Vasco Rossi”. Ma non so se sono riuscito a spiegarlo come volevo, cosa vuol dire essere Vasco Rossi. Staremo a vedere! Consiglio a tutti di vederlo, ma io… lo guardo dopo, in differita!».

Sei ovunque.
«Un diluvio di Vasco Rossi. Sono stato un po’ assente per qualche anno, quindi mi dispiace, ma adesso mi racconto un po’ dappertutto».

Com’è fare avanti e indietro da Los Angeles?
«Là c’è una situazione molto comoda. Vado in vacanza da me stesso. Posso andare nei centri commerciali. Giro libero e selvaggio. Quello mi manca molto, in Italia, guardarmi in giro, perché tutti guardano me. Non mi lamento mica, ringrazio sempre il cielo e la chitarra, ma a volte mi imbarazzo».

In America torni a essere un cittadino normale.
«Torno sconosciuto. Io mi ricordo quando andavo in giro e nessuno mi guardava, era piacevole. Ora non posso muovere un dito che tutti mi guardano. Mi manca fare le cose di nascosto!».

Hai detto che ti guardi in differita, ma i concerti? Li riguardi?
«No, non riguardo mai i concerti. Sennò vedo solo i difetti».

Sei così autocritico?
«In modo pazzesco. Quando mi fanno delle critiche mi viene da ridere, perché non sono niente in confronto a quelle che mi faccio io. Anche per le mie canzoni: non mi perdòno niente».

Negli Stati Uniti hai più tempo per ascoltare musica?
«Le radio trasmettono sempre rock, qua lo sentiamo solo ogni tanto. E poi il rock è nell’aria. Mi ricordo che una volta mixammo un disco a Los Angeles, e all’arrivo in Italia lo dovemmo rifare da capo perché era troppo pesante».

Vai anche a vedere dei concerti?
«A volte sì, ho visto i Green Day e gli Offspring, che mi sono piaciuti un casino. Ma a me Los Angeles piace soprattutto per il clima, c’è sempre il sole. Mi sveglio la mattina e tutto va già bene. Qui in Italia il clima mi mette parecchio in crisi. Sono meteoropatico».

Ora sei persino più in forma dell’anno scorso, hai continuato a smettere di fumare?
«Sì, non ho ancora ricominciato. Poi mi hanno dato un po’ di regole».

Senti, è vero che ti piace Papa Francesco?
«È il Papa che ci voleva per la Chiesa, per recuperare un po’ di quella credibilità che stava perdendo. Io sono Cristiano e battezzato, ma la Chiesa l’ho frequentata solo da piccolo, quand’ero chierichetto».

Quanti anni avevi?
«Otto o nove anni».

E dopo c’è stata la tua messa rock.
«C’è chi comincia con le Feste dell’Unità, io ho cominciato in Chiesa!».

Tu hai usato i social network come nessuno prima…
«Facebook è stata una scoperta straordinaria. “Posto ergo esisto”, ormai è così: se non posti, non esisti. Ogni volta che posti, ti senti esistente. E se qualcuno ti risponde, meglio.».

Ti capita mai di seguire qualcuno su Facebook a tua volta?
«Mai! Non ci vado mai a vedere le pagine degli altri, neanche per sogno! E ci tengo a dire che tutti gli altri Vasco Rossi che ci sono, non sono io! Si spacciano per me e broccolano con le ragazze usando la mia faccia!».

E come mai non usi Twitter?
«“Twittare” è una cosa che non voglio fare. Io non “cinguetto”. Quando parlo, io parlo. Deliro e insulto, casomai, ma non “twitto”. Ma ora che sono diventato multitasking, chissà…».

Ho letto che hai telefonato a un tuo fan in ospedale.
«È arrivata la richiesta dalla moglie, lui aveva un tumore al polmone. Allora gli ho telefonato, non mi costava niente: è un tale piacere vedere il piacere che fa. L’ho fatto volentieri. Tra l’altro negli ultimi tempi vado più volentieri fuori a incontrare i fan. Prima ero un po’ preoccupato, un po’ teso. Non mi sento mai all’altezza di quello che loro vedono in me».

Veramente?
«Più che altro l’immagine che hanno di me io non la posso rappresentare. Per quello io scherzo e dico sempre che sono “in rappresentanza del mito”. Ma io sono me stesso, anche nelle mie canzoni. Scrivo quello che mi viene da dentro, che non è mediato dalla razionalità né dal voler piacere alla gente. È solo un’esperienza personale, infatti le canzoni ho cominciato a scriverle per me, per divertimento».

Anche adesso è un divertimento?
«Finire una canzone è un piacere enorme. Quando comincio non ho in testa un tema o una storia, solo una sensazione o un’emozione che cerco di trasmettere con la musica».

Un flusso di coscienza?
«Esatto, un po’ come nell’analisi, quando fai “associazione di idee”. Viene fuori la prima frase, e se quella è quella giusta nasce una canzone. Infatti per me l’incipit delle canzoni è fondamentale. Però io ho dei problemi con le cose che finiscono, soffro ogni volta che una cosa finisce».

È per quello che il Live Kom non finirà mai?
«Qualcosa deve durare. Ah ragazzi, preparatevi, perché non ci si scappa».

E l’idea di finire un disco, invece?
«Adesso mi è tornata la voglia di farlo, un disco intero. Mi è piaciuta l’idea di fare solo dei singoli, fare uscire una canzone quando era il momento, anche perché i dischi come confezione non si usano più. Si fanno le playlist. Ma ho visto che mi fa piacere sentire degli album».

A che punto sei con l’album?
«Adesso sospendiamo la lavorazione del disco, diciamo che siamo a metà. Pensiamo ai concerti, mi devo concentrare su quelli. I tempi tecnici della realizzazione di un album non sono brevi. Ci vogliono due o tre anni, sempre. E ora abbiamo scaricato le batterie».

E i concerti ti servono per ricaricare le batterie?
«Suonare dal vivo è uno stimolo per tutto. In fondo il Live Kom lo faccio anche per me. Perché così ho un motivo per stare vivo, sano e lucido fino a luglio, per avere un impegno. Se non hai delle cose da fare, se non ti dai degli obiettivi… Lo vedi i pensionati d’oro come stanno male?».

Tu pensionato d’oro, invece, mai?
«Io non pensavo nemmeno di arrivare a trentacinque anni. Ma la pensione non esiste per gli artisti. Gli artisti muoiono e basta. Prima ci sono e poi non ci sono più».

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Fonte: Sorrisi e Canzoni (2 maggio 2014 Scritto da: Francesco Chignola)
 
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